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le pagine indimenticabili, frammenti di letteratura e poesia

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next5years
view post Posted on 29/2/2004, 15:24     +1   -1




Apro questo spazio per chi volesse far conoscere ad altri pagine di letteratura particolarmente belle o significative; puo essere un modo anche per scegliere il prossimo libro da leggere....certo puo darsi che isolare un brano, estrapolarlo dal contesto del libro non significhi rendergli un buon servizio, ma proviamo.

Comincio io, questo è un brano tratto da "Tropico del cancro" di Henry Miller, un libro forte nei toni e nei contenuti, vietato per quasi 30 anni nei paesi anglosassoni perche ritenuto scandaloso, è invece un libro innovativo e importante per la narrativa del 900.


"Quando abbasso gli occhi su questa fica fottuta di puttana sento tutto il mondo sotto di me, un mondo che barcolla e precipita, un mondo usato e levigato come il cranio di un lebbroso. Se ci fosse un uomo che osasse dire tutto quello che ha pensato di questo mondo, non gli resterebbe un piede quadrato di terreno su cui stare in piedi. Quando un uomo si fa avanti, il mondo gli crolla addosso e gli rompe la schiena. Ma ne restano in piedi sempre troppe, di colonne, troppa umanità purulenta perché fiorisca l’uomo. La sovrastruttura è una menzogna e le fondamenta sono una paura trepidante. Se a intervalli di secolo compare un uomo con uno sguardo disperato, affamato, nell’occhio, un uomo capace di rovesciare il mondo per creare una razza nuova, l’amore che egli porta al mondo si muta in bile ed egli diviene un flagello. Se a volte incontriamo pagine esplosive, pagine che feriscono e bruciano, che strappano gemiti e lacrime e bestemmie, sappiate che son pagine di un uomo alle corde, un uomo a cui non resta altra difesa che le parole e le parole sono sempre più forti della menzogna, peso schiacciante del mondo, più forte di tutte le ruote e i cavalletti che i vili inventano per infrangere il miracolo della personalità. Se un uomo mai osasse tradurre tutto quel che ha nel cuore, mettere giù quella che è la sua vera esperienza, quel che è veramente verità, io credo allora che il mondo andrebbe infranto, che si sfascerebbe in frantumi, e né dio, né accidente, né volontà potrebbe mai radunare i pezzi, gli atomi, gli elementi indistruttibili che componevano il mondo.

Nei quattrocento anni dopo che comparve l’ultima anima divoratrice, l’ultimo uomo che conoscesse il significato dell’estasi, c’è stato un continuo netto declino dell’uomo nell’arte, nel pensiero, nell’azione. Il mondo è esausto: non ne è rimasta una scoreggia secca. Come può, chi possieda occhio affamato, disperato, aver il minimo riguardo di questi attuali governi, leggi, codici, principii, ideali, idee, totem e tabù? Se qualcuno sapesse cosa significava leggere l’enigma di quella cosa che oggi si chiama “cretto” o un “buco”, se qualcuno avesse il menomo sentimento del mistero attorno al fenomeno che si etichetta “osceno”, questo mondo precipiterebbe. E’ l’orrore osceno, l’aspetto secco, fottuto delle cose che fa apparire come un cratere questa pazza civiltà. E’ questo grande abisso di nulla spalancato che gli spiriti creativi e le madri della razza si portano tra le gambe.
Cose, certe cose dei miei vecchi idoli mi fan salire le lacrime agli occhi; le interruzioni, il disordine, la violenza soprattutto, l’odio che hanno destato. Quando io penso alle loro deformità, allo stile mostruoso che han scelto, alla flatulenza e alla noia delle loro opere, a tutto il caos e alla confusione in cui han sguazzato, agli ostacoli che si sono accumulati attorno, provo un’esaltazione. Tutti si son voltolati nel loro sterco. Tutti quelli che troppo hanno elaborato. Tanto vero che quasi vorrei dire: “Mostratemi un uomo che troppo elabori e io vi mostrerò un grande uomo!” Quel che si dice la loro eccessiva elaborazione è carne mia: è segno della lotta, è la lotta medesima con tutte le fibre che vi si attaccano, l’aura, l’atmosfera stessa dello spirito discorde. E quando mi mostrate un uomo che si esprime perfettamente io non dirò che egli non è grande, ma dirò che non mi attrae…Per me, gli manca l’eccesso, lo smodato. Quando penso che ciò che l’artista implicitamente si propone è di rovesciare i valori costituiti, far del caos che lo circonda un suo ordine, seminare lotta e fermento, sì che per un rilancio emotivo quelli che son morti rinascano alla vita, allora io corro con gioia ai grandi imperfetti, la loro confusione mi nutre, il loro balbettamento è musica divina ai miei orecchi. Nelle pagine ben gonfie che seguono le interruzioni io vedo cancellata ogni meschina intrusione, ogni norma sporca, per così dire, di vigliacchi, bugiardi, ladri, vandali, calunniatori. Vedo nei muscoli gonfi delle loro liriche gole la fatica che occorre per volgere la ruota, per riprendere il passo dove uno ha ceduto. Vedo che dietro i fastidi e le intrusioni quotidiane, dietro la meschina scintillante cattiveria dei deboli e degli inerti, c’è il simbolo del potere delusivo della vita, e colui il quale crei l’ordine, colui il quale semini lotta e discordia, giacché è pieno di volontà, quell’uomo sempre dovrà andare alla gogna e al patibolo. Vedo che dietro la nobiltà dei suoi gesti si nasconde lo spettro della ridicolezza totale – che egli non è solamente sublime, ma assurdo.
Una volta pensavo che essere umano fosse la maggiore meta dell’uomo, ma oggi vedo che questo significava distruggermi. Oggi mi vanto di poter dire che sono disumano, che appartengo non agli uomini e ai governi, che non ho nulla a che fare coi credi e coi principii. Non ho nulla a che fare con la cigolante macchina dell’umanità – io appartengo alla terra! Lo dico giacendo sul cuscino e sento le corna che mi spuntano dalle tempie. Vedo attorno a me tutti quei miei pazzi antenati che danzano attorno al mio letto, che mi consolano, che mi stimolano, che mi flagellano con le loro lingue di serpe, che ghignano e irridono coi loro teschi grotteschi. Io sono disumano."

Edited by next5years - 29/2/2004, 13:04
 
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next5years
view post Posted on 10/3/2004, 13:56     +1   -1




SE QUESTO E' UN UOMO

Primo Levi


Il racconto dell'orrore di Auschwitz riportato da un superstite, un resoconto quasi giornalistico, senza orpelli letterari ne elucubrazioni retoriche, ma solo la testiminianza degli abissi di male in cui la follia umana puo precipitare.
Il terribile snaturarsi dell'essere umano che il lager impone, è piu spaventoso della sofferenza fisica.
Un libro ,come si suol dire , "che tutti dovrebbero leggere"
.

Eccone un brano che descrive le agitate notti e gli incubi degli internati.

"Così si trascinano le nostre notti.
Il sogno di Tantalo e il sogno del racconto si inseriscono in un tessuto di immagini piu indistinte: la sofferenza del giorno,composta di fame, percosse, freddo, fatica, paura e promiscuità si volge di notte in incubi informi di inaudita violenza quali nella vita libera si hanno soltanto nelle notti di febbre.Ci si sveglia a ogni istante gelidi di terrore col sussulto di tutte le membra,sotto l'impressione di un ordine gridato da una voce piena di collera in una lingua sconosciuta.
La processione del secchio e i tonfi dei calcagni nudi sul legno del pavimento si mutano in un'altra simbolica processione: siamo noi, grigi e identici,piccoli come formiche e grandi fino alle stelle, serrati l'uno contro l'altro, innumerevoli per tutta la pianura fino all'orizzonte; talora fusi in un'unica sostanza , un impasto angoscioso in cui ci sentiamo invischiati e soffocati; talora in marcia in cerchio senza principio e senza fine con vertigine accecante ed una marea di nausea che ci sale dai precordi della gola finchè la fame, il freddo o la pienezza della vescica non ci convogliano verso gli schemi consueti.
Cerchiamo invano quando l'incubo stesso o il disagio ci svegliano di districarne gli elementi e di ricacciarli separatamente fuori dal campo dell'attenzione attuale, in modo da difendere il prezioso sonno dalla loro intrusione, ma non appena gli occhi si richiudono ancora una volta percepiamo il nostro cervello mettersi in moto al di fuori del nostro volere; picchia e ronza, incapace di riposo, fabbrica di fantasmi e sogni terribili e senza posa li disegna e li agita nella nebbia grigia.

Ma per tutta la durata della notte, attraverso tutte le alternanze di sonno, veglia e incubo, vigila l'attesa e il terrore del momento della sveglia.

Aufstehen ! La parola straniera cade come una pietra sul fondo di tutti gli animi, Alzarsi !
l'illusoria barriera delle coperte calde,l'esile corazza del sonno,la pur tormentosa evasione notturna cadono in pezzi tutto intorno a noi e ci troviamo desti senza remissione, esposti all'offesa,atrocemente nudi e vulnerabili.
Comincia un'altro giorno come ogni giorno lungo a tal segno da non potersene ragionevolmente concepire la fine tanto freddo, tanta fame, tanta fatica ce ne separano: per cui è meglio concentrare l'attenzione e il desiderio su quel blocchetto di pane grigio, che è piccolo ma fra un'ora sarà certamente nostro e per cinque minuti finchè non l'avremo divorato costituirà tutto ciò che la legge del luogo ci consente di possedere.
All' Aufstehen si rimette in moto la bufera.
L'intera baracca entra senza transizione in attività frenetica: ognuno si arrampica su e giu, si rifà la cuccetta e cerca contemporaneamente di vestirsi in modo da non lasciare nessun oggetto incustodito; l'atmosfera si riempie di polvere fino a diventare opaca; i più svelti fendono la calca a gomitate per recarsi ai lavatoi prima che si formi la coda.
Quando io ho rifatto la cuccia e mi sono vestito, scendo sul pavimento e mi infilo le scarpe.
Allora mi si riaprono le piaghe dei piedi e comincia una nuova giornata."

Edited by next5years - 10/3/2004, 11:39
 
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next5years
view post Posted on 11/4/2004, 01:13     +1   -1




La pelle

Curzio Malaparte


Un viaggio allucinato nella miseria e nell'abiezione totale della Napoli appena liberata dagli alleati, il romanzo-scandalo del controverso scrittore toscano di origine tedesca pubblicato nel 1949 che però contiene oltre a innumerevoli pagine dai toni estremamente crudi anche spunti di struggente lirismo, come questo.

Era il tramonto e il mare prendeva poco a poco il colore del vino che è il colore del mare in Omero. Ma laggiu fra Sorrento e Capri, le acque e le alte rive scoscese e i monti e le ombre dei monti si accendevano lentamente di un vivo colore del corallo come se le selve di coralli che ricoprono il fondo del golfo emergessero lentamente dagli abissi marini tingendo il cielo dei loro riflessi di sangue antico.
La scogliera di Sorrento folta di giardini d'agrumi sorgeva lontana dal mare come una dura gengiva di marmo verde: che il sole morente feriva obliquo dall'opposto orizzonte con le sue stanche saette traendone il dorato e caldo bagliore delle arance e i freddi lividi lampi dei limoni.
Simile ad un osso antico, scarnito e levigato dalla pioggia e dal vento stava il Vesuvio solitario e nudo nell'immenso cielo senza nubi, a poco a poco illuminandosi di un roseo lume segreto come se l'intimo fuoco del suo grembo trasparisse fuor della sua dura crosta di lava pallida e lucente come avorio; finchè la luna ruppe l'orlo del cratere come un guscio d'uovo e si levò chiara ed estatica, meravigliosamente remota nell'azzurro abisso della sera.
Salivano dall'estremo orizzonte, quasi portate dal vento le prime ombre della notte.
E fosse per la magica trasparenza lunare o per la fredda crudeltà di quell'astratto, spettrale paesaggio,una delicata e labile tristezza era nell'ora, quasi il sospetto di una morte felice.
Ragazzi cenciosi seduti sul parapetto di pietra a picco sul mare cantavano volgendo gli occhi in alto la testa lievemente inclinata sulla spalla. Avevano il viso pallido e scarno, gli occhi accecati dalla fame.Cantavano come cantano i ciechi, col viso riverso e gli occhi rivolti al cielo. La fame umana ha una voce meravigliosamente dolce e pura. Non v'è nulla di umano nella voce della fame.
E' una voce che nasce da una zona misteriosa della natura dell'uomo, dove ha radice il senso profondo della vita, che è la vita stessa, la nostra vita piu viva e segreta.
L'aria era tersa e dolce alle labbra, una lieve brezza odorosa d'alga e di sale spirava dal mare, il grido dolente dei gabbiani faceva tremare il dorato riflesso della luna sulle onde, e laggiu, in fondo all'orizzonte il pallido spettro del Vesuvio affondava poco apoco nell'argentea caligine della notte.Il canto dei ragazzi si faceva piu puro, piu astratto, quel crudele, inumano paesaggio, cosi straniero alla fame e alla disperazione degli uomini.
 
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nanni
view post Posted on 21/4/2004, 10:59     +1   -1




Ieri ad un certo punto mi sono messo a leggere “Viaggio al termine della notte” di Celine. Il libro da lui ripudiato in quanto, sostanzialmente, troppo romantico ed ottimista. Ero sdraiato sul letto e, ad un certo punto, ho messo via il libro e mi sono addormentato. Mi sono svegliato senza ricordare sogni ma con la sensazione che qualcosa di orribile fosse accaduto. Ma che dico di orribile… Di shifoso, di oscenamente riprovevole, di degradante… Una sorta di abbietto malessere esistenziale che ha faticato a lasciarmi. Leggete Celine, si, è un grande scrittore. Ma non prima di addormentarvi!

Ecco un paio di brani estratti quasi a caso.

Sprofondi, all’inizio ti spaventi nella notte, ma vuoi capire lo stesso e allora non lasci più l’abisso. Ma ci sono troppe cose da capire nello stesso tempo. La vita è davvero troppo corta. Uno non vorrebbe fare ingiustizie a nessuno. Uno ha degli scrupoli, esita a giudicare tutto in un colpo solo e ha soprattutto paura di dover morire mentre è li che esita, perché allora sarebbe venuto sulla terra proprio per niente. Il peggio del peggio.
Bisogna affrettarsi, non bisogna perdersela la propria morte. La malattia, la miseria che ti disperde le ore, gli anni, l’insonnia che ti imbratta di grigio giornate, settimane intere e il cancro che è già forse lì che ti sale, meticoloso e sanguinante dal retto.
Non avremo mai il tempo, stiamo a dirci! Senza contare la guerra sempre pronta anche lei, nella noia criminale degli uomini, a venir fuori dalla cantina dove si rinchiudono i poveri. Se ne uccidono abbastanza di poveri? Non è sicuro… Che domanda è? Bisognerebbe forse sgozzare tutti quelli che non capiscono? Che ne nascano altri, di nuovi poveri e sempre così fino a che ne arrivino di quelli che stanno allo scherzo, fino in fondo… Come si falciano i prati fino al momento in cui l’erba è veramente quella giusta, quella tenera.

E tutte le sere poi verso quell’epoca, molti villaggi si sono messi ad ardere all’orizzonte, questo si ripeteva, ne eravamo circondati, come dal gran cerchio di una strana festa di tutti quei paesi là che bruciavano davanti a noi e ai due lati, con le fiamme che montavano e leccavano le nuvole.
Si vedeva passarci tutto nelle fiamme, le chiese, i fienili, le une dopo gli altri, i covoni di fieno che facevano le fiamme più animate, più alte del resto, e poi le travi che s’alzavano tutte diritte nella notte con barbe di faville prima di ricadere nella luce.
Si vede bene com’è che brucia un villaggio, anche a venti chilometri, Era allegro. Un borgo da niente che non si notava nemmeno durante il giorno, in fondo a una campagnetta meschina, eh be’, si ha mica idea la notte, quando brucia, l’effetto che può fare! Pottrebbe essere Notre-Dame! Ci mette anche tutta una notte a bruciare un villaggio, anche uno piccolo, alla fine si direbbe un enorme fiore, poi nient’altro che un boccio, poi più niente.
Fuma, e allora è mattino.
Sfortuna che non han durato i villaggi… In capo a un mese, in quel cantone, non ce n’era già più. Le foreste anche, gli han tirato sopra coi cannoni. Non han durato otto giorni le foreste. Fanno ancora dei bei fuochi, ma sta per finire.
Dopo di allora, i convogli dell’artiglieria presero tutte le strade in un senso e i civili che si mettevano in salvo, nell’altro.
Insomma, non potevamo più, noialtri, né andare né venire; bisognava restare dove si era.
Si faceva la coda per andare a crepare.

(citato da) Nanni
Ps.
Appena riesco a ritrovarlo voglio citare qualcosa di "morte a credito" Quello si che è tosto!
N.
 
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next5years
view post Posted on 21/4/2004, 11:25     +1   -1




certo che postiamo tutta roba allegra.....comunque bello, appena finisco Malaparte cerco qualcosa di Celine.
 
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nanni
view post Posted on 21/4/2004, 11:44     +1   -1




Allora un pezzo decisamente più allegro! Il primo impatto di Bardamu con i bagni pubblici americani. Sempre da "Viaggio al termine della notte":

Quel buco mi parve adatto, grosso com’era, con dentro una scala tutta di marmo rosa. Avevo già visto molta gente per strada sparirvi e poi tornarne fuori. Era in quel sotterraneo che andavano a fare i loro bisogni. Capii subito come girava. In marmo anche la sala dove capitava la cosa. Una specie di piscina, però svutata di tutta l’acqua, una piscina infetta, colma soltanto di una luce filtrata, fioca, che veniva a smorire là sugli uomini sbottonati in mezzo ai loro odori e tutti paonazzi a sbrigare le loro sporche faccende davanti a tutti, con rumori barbari.
Tra uomini, così, alla buona, fra le risate di tutti quelli che erano intorno, accompagnati da incoraggiamenti che si scambiavano come al football. Prima si levavano la giacca, come per fare una prova di forza. Si mettevano in tenuta insomma, era il rito.
E poi tutti sbracati, ruttando e peggio, gesticolando come nel cortile dei matti, s’installavano nella caverna fecale. I nuovi arrivati dovevano rispondere a mille scherzi schifosi mentre scendevano i gradini dalla strada; ma sembravano tutti compiaciuti lo stesso.
Quanto più lassù sul marciapiedi si comportavano bene gli uomini, formalmente, tristemente anche, tanto più qui la prospettiva di potersi svuotare le trippe in tumultuosa compagnia sembrava liberarli e rallegrarli intimamente.
La porte dei gabinetti abbondantemente imbrattate pendevano, divelte dai loro cardini. Passavano dall’una all’altra cella per chiacchierare un po’, quelli che attendevano un posto vuoto fumavano dei sigari pesanti battendo sulle spalle dell’occupante al lavoro, lui, ostinato, la testa corrugata, rinchiusa fra le mani. Molti ci facevano dei forti gemiti come dei feriti o delle partorienti. Minacciavano gli stitici di torture ingegnose..
Quando uno scroscio d’acqua annunciava un posto vacante, raddoppiavano i clamori attorno all’alveolo libero, e allora sovente se ne giocavano il possesso a testa e croce. I giornali appena letti, anche se spessi come piccoli cuscini, finivano istantaneamente disciolti nella mota di quei lavoratori rettali. Si distinguevano male le facce per il fumo. Non osavo troppo avanzare verso di loro a causa degli odori (...)

(citato da)Nanni
 
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chiaroche
view post Posted on 8/4/2008, 13:45     +1   -1





bei brani, grazie.... abbasso io il livello con un brano di Amurri dal libro "Piccolissimo" che è leggero ma mi dà quel senso di tenerezza ironicomalinconica che mi piace.



IL MIO COMPLEANNO


Ho un vecchio zio che, ad ogni compleanno, mi regala cinquanta lire. Se non fosse per lui, dimenticherei la ricorrenza, e la fausta data passerebbe alle mie spalle come un giorno qualsiasi.

Invece, da tantissimi anni, lo zio arriva a casa, entra nella mia stanza, mi accarezza, mi sveglia ad ore impossibili e mi mostra, soddisfattissimo, le sue cinquanta lire lustre lustre di pensione, ritirata alla Banca d’Italia. Dopodichè si affretta ad annunciare a tutta la famiglia che “lui mi ha già fatto il regalo”. Ed è allora che comincia la processione.

Di solito sono i figli ad aprirla. Roberta arriva tutta assonnata e mi porge un volume che ha preso dalla mia libreria, incartandolo male con uno spiegazzato foglio multicolore di una nota boutique.

“Tanti auguri” mi dice “Ti piace questo libro? L’avevi già letto?”
“No, non l’avevo ancora letto. Grazie!” rispondo fingendo uno spropositato interesse.

Nei regali, ciò che conta è il pensiero. Roberta il pensiero l’ha avuto. Ha pensato di prendere un mio vecchio libro e di regalarmelo. Quando tendo le braccia per prendere il portafogli dai pantaloni appesi vicino al letto, i suoi occhi sfavillano.

“Eccolo!” dice. L’ha già in mano, e me lo porge aperto, perché io possa essere agevolato nella ricerca delle mille lire di mancia.
Più tardi arrivano gli altri due in delegazione. Si vede che la madre li ha rapidamente avvisati della ricorrenza ed obbligati ad uscire di casa per andare a rimediare otto garofani dal fioraio di fronte. E’ il mazzo di fiori più triste e scarmigliato che abbia mai visto, ma sono i miei figli a donarmelo e così diventa il più bello. In questo caso “il gesto” ed “il pensiero” ci sono davvero. Tremila lire di mancia.

Poi arriva mia moglie.
“Va bene un golf?” mi dice.
“Lascia perdere, non disturbarti. Non occorrono regali, lo sai”
“No no, voglio farti proprio un bel regalo. Ci tengo. Almeno quando compi gli anni, scusa! Ti faccio un bel golf. Compratelo, pagatelo, e poi alla fine del mese ti tieni i soldi dal mensile che mi dai. Anzi no: siccome tra poco è la mia festa, dimmi solo quanto hai speso. Mi compro una borsetta pari al valore del tuo golf, e la considero un regalo tuo. Intesi? Così siamo pari e patta, e il mensile me lo dai intero”.
Il romanticismo di mia moglie avrebbe fatto gola alla Alcott, avrebbe acceso di cocente gelosia tutte le sorelle Bronte.

Mi alzo dal letto sereno e felice. E mi metto a contare le cinquanta lire dello zio. Le tengo tutte dentro una scatoletta.

Contarle ad ogni compleanno mi dà il coraggio di continuare ad ammucchiarne.







"Ieri ad un certo punto mi sono messo a leggere “Viaggio al termine della notte” di Celine. Il libro da lui ripudiato in quanto, sostanzialmente, troppo romantico ed ottimista. Ero sdraiato sul letto e, ad un certo punto, ho messo via il libro e mi sono addormentato. Mi sono svegliato senza ricordare sogni ma con la sensazione che qualcosa di orribile fosse accaduto. Ma che dico di orribile… Di shifoso, di oscenamente riprovevole, di degradante… Una sorta di abbietto malessere esistenziale che ha faticato a lasciarmi. Leggete Celine, si, è un grande scrittore. Ma non prima di addormentarvi!"




forse chissà lui dopo essersi liberato di tutte queste piacevolezze dormiva come un lattante....


:D






 
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Smilla_e_la_neve
view post Posted on 2/8/2008, 12:29     +1   -1





E da allora, ogni volta che l'aroma inconfondibile di violette si insinua nell'aria, la mia anima ritrova intatta l'immagine di quella santa zia, che rubava i fiori dai giardini degli altri per portarli ai moribondi dell'ospizio. Quarant'anni dopo ho scoperto che quello era l'emblema di Giuseppina Bonaparte, che si affidava ciecamente al potere afrodisiaco di quel fuggevole aroma che assale all'improvviso con un'intensità quasi nauseabonda, per sparire senza lasciare traccia e tornare immediatamente con rinnovato ardore. Le cortigiane dell'antica Grecia lo usavano prima di ogni incontro galante per profumarsi l'alito e le zone erogene, perché mescolato all'odore naturale della traspirazione e delle secrezioni femminili mitiga la malinconia dei più vecchi e scuote in modo irresistibile lo spirito dei giovani. Nel tantra, la filosofia mistica e spirituale che esalta l'unione tra gli opposti a tutti i livelli, da quello cosmico al più infimo, e nella quale l'uomo e la donna sono specchi di energie divine, il colore della violetta è quello della sessualità femminile e per questo motivo alcuni movimenti femministi l'hanno fatto proprio.
L'odore penetrante dello iodio non mi evoca immagini di ferite o interventi chirurgici, bensì di ricci, strane creature marine irrimediabilmente legate alla mia iniziazione al mistero dei sensi. Avevo otto anni quando la ruvida mano di un pescatore mi mise in bocca un'ovaia di riccio. Quando torno in Cile, cerco sempre di trovare il tempo di andare sulla costa ad assaggiare di nuovi i ricci appena strappati al mare, e ogni volta mi assale lo stesso miscuglio di terrore e fascinazione che ho provato durante quel primo incontro intimo con un uomo. Per me i ricci sono inseparabili da quel pescatore, la borsa scura di frutti di mare che gocciola acqua e il mio risveglio alla sensualità. Gli uomini che sono passati dalla mia vita - non voglio vantarmi, non sono molti - li ricordo così, alcuni per la qualità della loro pelle, altri per il sapore dei loro baci, l'odore dei loro indumenti o il tono dei loro sussurri, e quasi tutti sono associati a un alimento particolare. Il piacere carnale più intenso, goduto senza fretta in un letto disordinato e clandestino, combinazione perfetta di carezze, risate e giochi della mente, sa di baguette, prosciutto, formaggio francese e vino del Reno. Ognuno di questi tesori della cucina fa comparire davanti a me un uomo in particolare, un antico amante che ritorna insistente come un fantasma desiderato a infondere una certa luce malandrina nella mia età matura.


Isabel Allende - Afrodita

Gli afrodisiaci sono il ponte gettato tra gola e lussuria.
Immagino che, in un mondo perfetto, qualsiasi alimento naturale,
sano, fresco, di bell'aspetto, leggero e saporito..
vale a dire, dotato di quelle caratteristiche che si cercano in un partner,
sarebbe afrodisiaco,
ma la realtà è ben più complessa.

 
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view post Posted on 2/8/2008, 13:09     +1   -1




brava, hai rispolverrato un topic ingiustamente finito in soffitta...
 
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LauraHeller
view post Posted on 31/5/2009, 19:11     +1   -1




Ho sempre pensato, con Aristotele, che certe forme d’arte inducano catarsi, rigenerazione interiore, gioia perenne di contraddirsi.
Oggi <vivo> sotto il segno del poeta inglese Dylan Thomas (1914-1953), definito dai critici “visionario” per il suo attaccamento a immagini surreali ed innocenti dell’umano esistere. Questo autore, che rivisita in chiave moderna il tema del poeta-vate (ma senza intenti pedagogici), sembrerebbe sposare in poesia il procedere filosofico per “rotture epistemologiche”.
E, infatti, i suoi componimenti appaiono a volte “staccati”, frutto di flash o deja-vu interiori. Ciò nonostante, non si ha l’impressione che la personalità di Thomas sia “spezzata” quanto i suoi pensieri. Anzi, come scrisse nel ‘34, “la poesia può penetrare la chiara nudità della luce più di quanto non lo possano le intime cause scoperte da Freud”.
Ed è proprio l’anima a conferire unità al tutto e a superare i limiti imposti da ogni ordine razionale.

NEL MIO MESTIERE O ARTE SCONTROSA.
“Nel mio mestiere, ovvero arte scontrosa
Che nella quiete della notte esercito
Quando la luna effonde rabbia
E gli amanti giacciono nel letto
Tenendo fra le braccia ogni dolore
Ad una luce che canta mi affatico,
E non per ambizione, non per pane,
Né per superbia o traffico di grazie
Su qualche palcoscenico d’avorio,
Ma solo per la paga consueta
Del loro sentimento più segreto.

Non è per il superbo che si apparta
Dalla luna infuriata che io scrivo
Su questa spruzzaglia di pagine,
E non per i defunti che torreggiano
Con i loro usignoli e i loro salmi,
Ma solo per gli amanti che trattengono
Fra le braccia i dolori delle età,
E non offrono lodi né compensi,
Indifferenti al mio mestiere od arte.”

Di seguito, il testo in inglese (che meglio esprime, rispetto alla traduzione italiana, la “non verbosità” tipica di Thomas):

IN MY CRAFT OR SULLEN ART.
“In my craft or sullen art
Exercised in the still night
When only the moon rages
And the lovers lie abed
With all their griefs in their arms.
I labour by singing light
Not for ambition or bread
Or the strut and trade of charms
On the ivory stages
But for the common wages
Of their most secret heart.

Not for the proud man apart
From the raging moon I write
On these sprindrift pages
Not for the towering dead
With their nightingales and psalms
But for the lovers, their arms
Round the griefs of the ages,
Who pay non praise or wages
Nor heed my craft or art.

(tratta dalla raccolta “Death and Entrances”)
 
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Insel
view post Posted on 31/5/2009, 20:28     +1   -1




Perchè mi fate correre tutta sola nel deserto? Ho paura, così sola. Preferisco volare. L'ho sempre saputo che sono capace di volare.
'Else!'
'Else!'
Dove siete? Vi sento, ma non vi vedo.
<''Else!'...
'Else!'...
'Else!'...
E questo, cos'è? Un grande coro? E anche un organo? Canto con loro. Che inno è questo? Lo cantano tutti insieme. Compresi i boschi e le montagne e le stelle. Non ho mai sentito niente di più bello. E neanche ho mai visto una notte così chiara. Dammi la mano papà. Voliamo insieme. È così bello il mondo se uno sa volare. No, non baciarmi la mano. Sono la tua bambina, papà.
'Else! Else!'
MI chiamano da tanto lontano! Ma che cosa volete? Non svegliatemi. Sto dormendo così bene. Domani mattina. Sogno e volo. Volo... volo...volo...dormo e sogno...e volo...non svegliatemi...domani mattina...
'El...
Volo...sogno...dormo...sogno...so...so...vo...


(Arthur Schnitzler, La Signorina Else, Adelphi)
 
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LauraHeller
view post Posted on 1/6/2009, 18:56     +1   -1




SONETTO XC
Pensai di morire, sentii dappresso il freddo,
E di quanto io vissi solo te lasciavo:
La tua bocca era il mio giorno e la mia notte terrestri
E la tua pelle la repubblica fondata dai miei baci.

In quell’istante finirono i libri,
L’amicizia, i tesori accumulati senza tregua,
La casa trasparente che tu e io costruimmo:
Tutto cessò d’esistere meno i tuoi occhi.

Perché l’amore, mentre la vita ci incalza,
È semplicemente un’onda alta sulle onde,
Ma ahi quando la morte viene a bussare alla porta

Solo c’è il tuo sguardo per tanto vuoto,
Solo la tua chiarità per non continuare ad esistere
Solo il tuo amore per chiudere l’ombra.


( Pablo Neruda, Da Cento Sonetti d’Amore.)

Pablo Neruda (1904-1973) è il più grande poeta latinoamericano del secolo scorso e ha fatto dell’amore a 360° il fulcro della sua produzione.
Patriota sanguigno, si lasciò letteralmente morire in seguito al colpo di stato che, dopo la tragica morte di Salvador Allende, portò il Cile sotto la dittatura militare.
Le sue poesie sono autentici affreschi della natura selvaggia nella quale è nato e cresciuto. Proprio la primitività costituisce l’essenza stessa del suo stile, che, col passare degli anni, diventa sempre più essenziale e intimistico.
Neruda assunse la convinzione che l’uomo vive una sorta di incomunicabilità. E, pur tuttavia, un accento meravigliosamente titanico non mancò mai ai suoi versi, a dispetto delle esperienze di vita non sempre felici. Ciò lo accosta a certe figure romantiche care all’italico spirito, vissute un paio di secoli prima del cileno.
Originale e quasi contraddittoria, è la sua concezione dell’amore. Neruda è uno spirito appassionato, e, pur tuttavia, ritiene che l’amore sia sinonimo di sofferenza. È attratto dal corpo della donna e, nel contempo, lo ripugna in nome della libertà interiore cui non riuscirà mai a rinunciare. Pur tuttavia, il Poeta trova un relativo appagamento nel ricordo, che, grazie alla fantasia galoppante, riesce in qualche modo a “trattenere” la bellezza e, quindi, a prolungare il piacere.
Io amo quest’uomo.
 
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