| '68, Sanremo: il controfestival arriva un anno dopo Al Festival di Sanremo la contestazione arrivo' nel 1969 con il Controfestival annunciato da Dario Fo e Franca Rame che definirono la manifestazione "un prodotto della borghesia che addormenta le coscienze dei lavoratori" e poi seguirono una serie di edizioni in tono minore. Nel '68, nel primo Festival di Sanremo condotto da Pippo Baudo, dal 1 al 3 febbraio al Salone delle Feste del Casino', l'unico piccolo fermento di protesta si avvertiva intorno alle giurie: dopo il suicidio di Tenco nel 1967 ci si continuava a interrogare sui criteri di scelta, sui verdetti.
E quell'anno tra i selezionatori figurava anche Renzo Arbore. Vinto da Sergio Endrigo e Roberto Carlos, con in gara anche Adriano Celentano e Milva, l'indimenticabile esibizione di Louis Armstrong con Lara Saint Paul e il jazzista Lionel Hampton che ripeteva ogni sera con il suo vibrafono i motivi della canzoni concorrenti, il Sanremo del '68 (diciottesima edizione del Festival), in cui tra i debuttanti figurava Al Bano, non fu teatro della contestazione ma in un certo senso l'anticipò nel '67 con l'atto estremo di Tenco che fu letto da molti come una protesta e la proseguì nel '69, anche se senza troppo clamore visto che la gara si svolse alla fine con normalita' e tra i debuttanti il Festival '69 vide Lucio Battisti e Nada. Tutt'altra atmosfera alla Scala colpita dal lancio di uova, a Venezia e a Cannes, dove venne occupato il del Palazzo del Cinema, e al Premio Strega che vide Pisolini ritirare il suo 'Teorema'. Il Sessantotto è stata la stagione dei Controfestival, una rivoluzione dei valori che ha portato alla contestazione delle principali manifestazioni culturali italiane. A Cannes, il XXI Festival, inaugurato dalla nuova copia in 70 mm di 'Via col vento', venne interrotto dopo una settimana per solidarietà con le lotte studentesche e operaie. Il 17 maggio viene occupato il Palazzo del Cinema da cineasti, tecnici e giornalisti e vengono costituiti gli Stati Generali del Cinema. Venezia non è da meno: dopo giorni di violente contestazioni, il 25 agosto viene rinviata la Mostra del Cinema. L'associazione degli autori occupa il Palazzo del Cinema, vengono sgomberati dalla polizia ma i contestatori, guidati da Cesare Zavattini, danno vita a un controfestival. Pasolini figura tra i maggiori sostenitori dell'Associazione Autori Cinematografici che si batteva per ottenere l'autogestione della mostra. L'effetto fu l'abolizione dei premi e per dieci anni, dal 1969 al 1979, edizioni della Mostra non competitive, le prime due dirette da Ernesto G. Laura e le successive da Gian Luigi Rondi e Giacomo Gambetti. Furono introdotte però numerose sezioni collaterali e nel 1972 nacquero a Venezia 'Le Giornate del cinema italiano' in contrasto con la mostra al Lido. Simbolo delle contestazioni più accese diventerà la rivolta del 7 dicembre alla Scala quando uova e cachi finirono su smoking e pellicce di signori e signore ingioiellate arrivati a teatro per il 'Don Carlos' di Giuseppe Verdi. "Borghesi, ancora pochi mesì era il coro intonato dai manifestanti. La polizia, dopo l'eccidio di Avola del 2 dicembre, in cui vennero uccisi due braccianti, e gli scontri alla questura, aveva ricevuto ordini di non intervenire fino al limite tollerabile. Neppure il Premio Strega uscì indenne dall'infuriare della contestazione: nell'edizione del '68, vinta da Alberto Bevilacqua con 'L'occhio del gattò, Pier Paolo Pasolini ritira per protesta il suo romanzo 'Teorema' mentre il film tratto dal libro viene presentato alla Mostra del Cinema di Venezia contro la sua volontà in un clima arroventato.
'68, Liberation rivendica l'eredita', viva il '68! Il quotidiano Liberation lo strilla in copertina - ''la battaglia di memoria attorno al Maggio del 68 è cominciata" - e si schiera: "Viva il '68!''. Quarant'anni dopo la contestazione studentesca, la rivolta al Quartiere Latino di Parigi, attorno alla Sorbona, e il fuoco della ribellione esteso a tutta la Francia, il quotidiano della gauche inizia a suo modo le 'celebrazioni' di quell' avvenimento con una copertina-manifesto e dieci pagine fra cronaca e testimonianze.
Ed avverte: "Liberation s'impegna a rivendicare un'eredità che alcuni vorrebbero 'liquidare'". 'Alcuni'? Nicolas Sarkozy, il presidente francese, da candidato del partito neogollista Ump all' Eliseo, dedicò uno dei suoi comizi elettorali all'eredità del '68 che voleva ''liquidare": quella del "declino dell'autorità", del "lassismo educativo", della "svalutazione del lavoro" e della "cultura della scusa". Liberation, che nacque nel 1973 per iniziativa di Jean-Paul Sartre, sulla spinta proprio del '68, oppone a Sarkozy un'altra eredità: "la lotta e la libertà. Mai una senza l'altra", dice li direttore del giornale, Laurent Joffrin, in un editoriale intitolato: "Una rivolta del futuro". Lotta e libertà, "cosa di più attuale?" - si domanda Joffrin - "contro le aberrazioni del capitalismo finanziario, le crudeltà di una società divisa, lontani dai conservatorismi della vecchia sinistra. Il maggio del '68 ci trasmette un messaggio di speranza nella volonta' collettiva e nell' immaginazione del popolo". La stampa uscita dal maggio '68 - ha ricordato lo storico direttore di Liberation, Serge July - ''organizzativa, operaista, controculturale, era globalmente marginale e nella sua dispersione non riusciva a svilupparsi. Liberation è la risposta a questa situazione: la creazione di un organo di stampa espressione multiforme dello sconvolgimento ideologico in corso da diversi anni". Liberation è il primo dei quotidiani, dei settimanali francesi a 'celebrare' il '68. In tv, su France 3, e' già andata in onda una trasmissione "Droit d'inventaire", con immagini d'epoca, testimonianze dei protagonisti, da una parte e dall'altra delle barricate. Si annunciano intanto convegni ed iniziative varie: al Centro culturale Pompidou di Parigi, il 16 febbraio, ci sarà una giornata di riflessione su "Maggio 68, il tempo della storia", Liberation annuncia una serie di supplementi mensili - Politica, Economia, Cultura, Vita quotidiana - "per capire ciò che è cambiato con Maggio 68 e ciò che resta". Ci sarà uno speciale 22 marzo: saranno gli attuali studenti dell' Università di Nanterre - dove nacque la contestazione e dove studiava un certo Daniel Cohn-Bendit - a scrivere il giornale il 21 marzo. Dal 22 marzo e fino alla fine di maggio il sito di Liberation proporrà, in collaborazione con l' Istituto nazionale dell' audiovisivo, un giornale in immagini che ripercorrerà giorno per giorno l' anno 1968 nel mondo. Liberation chiede poi di inviare foto e testimonianze a quelli che nel '68 erano ''studenti, operai, contadini, poliziotti o semplice testimoni".
'68: 4 febbraio, in Tv 'Quelli della domenica' ROMA - Il 4 febbraio 1968, lo scarno notiziario radio-tv dell'ANSA di allora annunciava "'QuellI della domenica' - (tv-1, ore 18) - Louis Armstrong, reduce da Sanremo, sarà oggi l'ospite d'onore di Ric e Gian, di Lara Saint Paul e di Paolo Villaggio in questa loro trasmissione". Poche e insipide parole per annunciare l'inizio di una trasmissione che stava per rivoluzionare il mondo serio e ufficiale della Rai. Sugli schermi televisivi di allora, piccoli e in bianco e nero, irrompeva il cabaret, grazie soprattutto agli esordienti Paolo Villaggio e Cochi e Renato. Mentre Ric e Gian si rifacevano ad una tradizione consolidata, il giovane Villaggio portava in tv improbabili personaggi come il prof. Krantz, un impresentabile presentatore che parla con uno spiccato accento tedesco gridando ogni tanto "Chi fiene foi atesso ?" e promettendo al pubblico, come premio, un "cammellino di pelouche", o come Fracchia, il servilissimo impiegato antenato di Fantozzi, angariato dal capoufficio interpretato da Gianni Agus. Ma oltre a Villaggio, la rivoluzione veniva dalla coppia di cabarettisti milanesi Cochi e Renato, con le loro canzoncine piene di "nonsense", a volte scritte con Enzo Jannacci, come "La Gallina" che "non è un animale intelligente, lo si capisce da come guarda la gente", o con le loro scenette scolastiche, nelle quali Renato interpretava il maestro e Cochi l'alunno, con i vari tormentoni di "bambini presenti e assenti, attenti" o di "bravo, sette più". Il varietà, che oggi potrebbe essere paragonato forse ad uno Zelig, era diretto da Romolo Siena, con testi di Marchesi, Terzoli e Vaime e la collaborazionedi Maurizio Costanzo. Ma, in quell'anno di grandi sommovimenti, "Quelli della Domenica" non era la sola novità della Rai. Da un mese era partito il nuovo Tg delle 13:30, impostato con una nuova formula, meno "ufficiale" di quella del Tg della sera. Un'edizione diretta da Fabiano Fabiani con la novità di una conduzione affidata a terne variabili di giornalisti, con Piero Angela, Sergio Telmon, Piergiorgio Branzi, Nuccio Fava, Alberto La Volpe, Demetrio Volcic, Lello Bersani, Maurizio Barendson e tanti altri, che rendeva l'informazione più vicina e comprensibile e che, per la prima volta, si avvaleva di un grande "eidophor", un enorme schermo sul quale comparivano i filmati e gli interventi dei corrispondenti italiani ed esteri. E nasce in quell'anno anche una trasmissione come "Faccia a faccia", condotta da Aldo Falivena, in cui il pubblico può domandare in diretta quello che vuole.
'68: Villaggio, quando nella tv benpensante irruppe Kranz
ROMA - Quaranta anni fa, il 4 febbraio 1968, nella tv di allora irruppe lo stupido dottor Kranz, il personaggio che lancio' Paolo Villaggio. "Era tedesco, scemo, autoritario, privo di ogni senso dell'umorismo e quando cercava di essere autorevole faceva ridere", ricorda oggi il comico genovese. Il dottor Kranz gli venne lì per lì, improvvisato in quei giorni per il nuovo programma 'Quelli della domenica', regia di Romolo Siena, una trasmissione-oasi di nuova comicità, quella del Derby con Ric e Gian, passato alla storia tv come un varietà di rottura. "C'era già Baudo, che condusse il festival di Sanremo, Mike imperversava e il Nazionale, come si chiamava il canale tv di allora - dice Villaggio - era tutto un formalismo: 'che piacere averti qui in trasmissione' e cose del genere, un tv finta, di cartapesta. Quelli della Domenica fu un apripista, oggi potrebbe somigliare a Zelig ma non ne sono sicuro. Il programma prendeva in giro l'elite, la società-bene bacchettona, era ateo e di rottura anche nel linguaggio. Il resto in tv era terrificante". La tv del '68 si fa ricordare per alcuni sceneggiati, come I racconti del maresciallo di Mario Soldati, uno dei primo polizieschi, con un maresciallo bonario ad indagare i delitti della valle del Po o come La freccia nera, di Anton Giulio Majano con Aldo Reggiani e una debuttante Loretta Goggi travestita da uomo per sfuggire ai persecutori nella guerra delle Due Rose. Uno sceneggiato racconto' la vita di quegli anni del boom: La famiglia Benvenuti, con Valeria Valeri, Enrico Maria Salerno e il piccolo Giusva Fioravanti, protagonista nel decennio successivo di tristissime pagine di cronaca come terrorista nero. "Era una tv politicizzata in cui era difficile lavorare per chi si voleva tenere fuori dalla politica. Non ricordo un bel clima", dice Renzo Arbore che allora guidava Bandiera Gialla, amava la radio e i juke box. "Non sono d'accordo con Renzo - replica Villaggio - non era ancora politicizzata, non certo più di oggi". Non era una tv su cui il vento del '68 spirava piu' di tanto, ma certo ogni tanto si insinuava, come il 31 maggio l'incontro del telegiornale con il filosofo tedesco Herbert Marcuse, uno dei guru del movimento o come a giugno le dirette di Andrea Barbato sulla morte di Robert Kennedy. Piuttosto a rallegrare le serate degli italiani c'era Enco Jannacci con Vengo anch'io, un grande successo di Castellano e Pipolo con 16 milioni di spettatori, il celebre Senza Rete di Enzo Trapani in cui decollarono Enrico Montesano, Oreste Lionello, lo stesso Villaggio, Mina cantava con Gaber. Carosello dava spettacoli divertenti insinuando sotto forma di sketch quella cultura del consumo, da annoverare tra le eredità del '68: c'erano Franco e Ciccio Cera Grey, la biondona di Peroni sarò la tua birra, e il nuovo superpannolino svedese con Pippo. Il programma dell'anno, replicato poi varie altre volte, fu però uno sceneggiato: Odissea di Franco Rossi con Bekim Fehmiu e Irene Papas. "Che bei tempi - conclude Villaggio con nostalgia - non c'era la depressione di oggi, i giovani avevano la speranza di un mondo migliore, oggi si vive nell'angoscia e nel rancore. Viva il '68''.
'68, anno formidabile al cinema, da Kubrick a Sordi Quarant'anni fa, il 9 febbraio 1968, usciva in Italia "Gangster Story" di Arthur Penn, il primo di una lunga serie di film che in quel 'formidabile' anno rispecchiarono le ideologie eversive e rivoluzionarie, le istanze di libertà e la voglia di cambiamento che stavano scuotendo il mondo. "Gangster Story" raccontava le imprese dei fuorilegge Bonnie e Clyde, il loro ribellismo anarchico contro l'ordine costituto e metteva in scena lo stesso orrore del sangue e del dolore fisico che le televisioni in quei giorni proponevano attraverso le immagini della guerra del Vietnam.
Il pubblico non poteva non simpatizzare per i due protagonisti e l'abbigliamento di Faye Dunaway-Bonnie (basco, sciarpa, cappotto stretto in vita) dettò legge tra le giovani generazioni. Tra i 285 film che nel '68 uscirono nei cinema italiani ancora infestati dal fumo delle sigarette ci furono capolavori assoluti come ''2001 Odissea nello spazio" di Stanley Kubrick, capolavori di comicità come "Hollywood Party", e capolavori dell' horror come "Rosemary's Baby" di Roman Polansky e "La notte dei morti viventi" di George A.Romero, che era anche un lucido apologo rivoluzionario. Dalla Francia arrivavano il delicato "Baci rubati" di Francois Truffaut, girato in quella Parigi che poco dopo avrebbe conosciuto cortei e barricate, ma anche "Weekend" di Jean Luc Godard, vero e proprio manifesto contro la società dei consumi tanto odiata dai sessantottini. Il nuovo cinema tedesco raggiungeva il suo apice con L'enigmatico "Artisti sotto la tenda, perplessi" di Alexander Kluge (Leone d'oro a Venezia) e lo scioccante "Scene di caccia in bassa Baviera" di Peter Fleischmann. Sempre nel '68 la 'nuova Hollywood' faceva arrivare "Il laureato" di Mike Nichols, altro campione del ribellismo contro una società ipocrita e falsa ritmato dalle canzoni di Simon & Garfunkel, mentre Don Siegel col noir "L'uomo dalla cravatta di cuoio" echeggiava il western, riesumato dal nostalgico "C'era una volta il West" di Sergio Leone.
E se una rinnovata fantascienza trovava un caposaldo nel "Pianeta delle scimmie" di Frankin J. Schaffner, la Factory di Andy Wahrol proponeva il suo primo film, "Flash" di Paul Morissey. Sul fronte della liberazione sessuale "Barbarella" di Roger Vadim trasformava Jane Fonda, la futura Hanoi Jane, in un'icona sexy, Claude Chabrol esplorava senza falsi pudori i rapporti tra donne in "Les Biches" e, mentre Russ Mayer scatenava le sue attrici con le tette bene in vista in "Vixen", Salvatore Samperi si crogiolava nel rapporto sado-maso di "Grazie zia" e Ugo Liberatore sommava allucinogeni a trasgressioni sessuali nel "Sesso degli angeli". Il cinema italiano schierò nel '68 una una bella pattuglia di autori: Bernardo Bertolucci con il dostoevskiano ''Partner", Liliana Cavani con l'anticlericale "Galileo", Carlo Lizzani con il cronachistico "Banditi a Milano", Pier Paolo Pasolini con l'antiborghese "Teorema", Nelo Risi col rigoroso "Diario Di una schizofrenica", Carmelo Bene col geniale e allucinato "Nostra signora dei Turchi", Federico Fellini con un episodio del film a più mani "Tre passi nel delirio" e Valerio Zurlini con l'anticolonialista "Seduto alla sua destra". E se Franco Zeffirelli conquistava il ricco mercato americano con "Romeo e Giulietta", Roberto Faenza faceva sue le tesi anticapitalistiche del movimento studentesco con il censuratissimo "H2S". Paolo Heusch fece incarnare a Francisco Rabal "El Che Guevara". Alberto Sordi prese di mira il sistema sanitario nazionale con "Il Medico della mutua" di Zampa, mentre Monica Vitti, "La ragazza con la pistola" per Monicelli, fornì una sua versione dell'emancipazione femminile
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